Tutto ha inizio nel 1967. Un architetto francese, un certo Michel Dufour ha un’intuizione che rivoluzionerà la filosofia di costruzione delle barche a vela. Negli anni 60 i progetti degli scafi si fondavano su una convinzione: che una barca per essere veloce dovesse toccare meno acqua possibile per offrire meno resistenza. Dufour non ci sta. La sua esperienza lo porta a sviluppare un progetto innovativo: uno scafo con un baglio massimo di notevoli dimensioni rispetto alle dimensioni dell’epoca. La barca fu inoltre dotata di una pinna di deriva corta e un siluro per zavorra, al fine di migliorarne la portanza e le prestazioni di bolina. L’idea di Michel Dufour è ancora oggi attuale. Con l’Arpege, nel 1967, nasce la moderna barca a vela. 1600 scafi prodotti dal 1967 al 1978, in varie versioni. Le principali modifiche avvennero nel 1970 quando la poppa venne leggermente allungata e resa ad angolo negativo e nel 1974, quando venne migliorato il piano di coperta e aumentato il peso in chiglia.
Al VELAFestival renderemo un grande tributo a questa imbarcazione che ha segnato la nascita dello yachting moderno e che quest’anno compie 50 anni. Dal 4 al 7 maggio avremo in banchina a Santa Margherita come ospite tra le nostre “barche cult” Sula, un Arpege del proprio del 1967 e appena restaurato. Nella serata di venerdì 5 maggio (dalle ore 18.30 circa), durante la serata dei campioni con la premiazione dei velista dell’anno, faremo un tributo ai 50 anni dell’Arpege.
Ma lasciamo che siano i nostri Amici dell’Associazione Mitico Arpege, a raccontarvi, perché, appunto, questa imbarcazione è mitica.
“Per comprendere il ruolo di protagonista dell’Arpège nel determinare, come molti affermano, l’inizio della Storia della Vela Moderna è necessario ricordare i momenti più significativi della sua esistenza dalla nascita 1967 alla fine 1975 avvenuta dopo meno di dieci anni ma con oltre 1500 esemplari realizzati. Si dovrebbe iniziare da quando un’architetto-ingegnere francese di nome Michel Dufour, di La Rochelle in Vandea, progettò (erano gli anni 64-65) una pur modesta, in fatto di dimensioni, imbarcazione a vela che chiamò Silphe (nome di una sua figlia). Era un natante di mt. 6,54 x 2,41 con caratteristiche innovative. Il mercato però non l’accolse molto bene perchè troppo esigua per essere una barca importante e quindi Dufour iniziò a pensare di progettarne un’altra un pò più grande e con caratteristiche ancor più avveniristiche.
Si deve considerare che fino ad allora la velocità critica degli scafi si riteneva che dipendesse dalla minor superficie di attrito con l’acqua e quindi i manufatti avevano grandi slanci di prua e di poppa e bagli ridotti compatibili con quel minimo di accettabile abitabilità interna. Troviamo quindi barche di mt. 15,00 con baglio di mt. 2,50-3,00 disegnate dalle penne di Sparkman & Stephens, di Nicholson, di Peterson etc. quindi dai più noti progettisti di allora. Si prenda ad es. l’ICE FIRE di Sp.& St., con mt.13,81 x mt.3.21, il Pen Duik mt.15,10xmt.2,93 etc. Michel Dufour, per realizzare la sua idea, eseguì infinite prove con vari modellini in vasca d’acqua e cercò una formula che si basasse su un nuovo elemento: la lunghezza al galleggiamento, stravolgendo quindi quello che fino ad allora era un concetto acquisito e accettato e che mai prima qualcuno si era sognato di metterlo in discussione. Nel frattempo un architetto italiano, che poi sarebbe diventato uno dei professionisti più noti e importanti al mondo, Renzo Piano, si era fatto realizzare dal cantiere Mostes di Genova due modeste barche a vela in legno ma, non soddisfatto, aveva deciso di farsene realizzare una terza, disegnata da un collega che aveva incontrato per caso, ma che riteneva essere uno che di barche e di vela se ne intendesse parecchio. Si era perciò recato a la Rochelle, nel 1967 portando con se uno dei Mostes: Luigi e aveva dato incarico a Dufour di progettargli una nuova barca che avesse caratteristiche innovative. L’ing. Francese propose lo studio che stava portando avanti: uno scafo che teneva conto di un nuovo modo di calcolare la velocità critica con un nuovo elemento in gioco: la lunghezza al galleggiamento. Si trattava di una barca di mt. 9,25 con mt. 3,03 di baglio massimo. Dufour ne avrebbe progettato lo scafo mentre Piano si sarebbe occupato della tuga e degli interni. Piano diede alla sua un nome: Didon III perchè le sue prime due barche, realizzate da Mostes, erano Didon I e Didon II, disegnate da Van de Stadt. Dufour non la chiamò subito Arpegè, si sarebbe riservato di darle un nome in seguito, dopo che Mostes l’avrebbe realizzata e si sarebbero fatte le prime prove in mare. Mostes, che indubbiamente aveva un occhio clinico, si fece rilasciare da Dufour la licenza di costruzione con struttura in legno e ne iniziò la realizzazione. Una volta messa in acqua, la barca fu molto criticata per questo strano enorme baglio, enorme rispetto alle concezioni di allora.
Nel frattempo un prototipo in vtr. costruito e timonato da Michel Dufour vinceva, sempre nel 1967, la 12° edizione della Coppa Atlantica per barche di 18 piedi di rating con ben 16 nazioni patecipanti. La barca in legno costruita da Mostes si presentò subito molto veloce per la sua categoria e vinse tutte le regate, a parità di rating, alle quali partecipò. La barca venne quindi molto apprezzata e Mostes ebbe ben sette ordini di costruzione oltre a quella di Piano. Una di queste, era l’anno 1968, la acquistò Doi Malingri che con essa fece, in copia con Carlo Mascheroni, la traversata dell’Atlantico da Gibilterra a Savannah nel 1970 e ne fa testo il libro pubblicato da Mursia editore “Il log del Nina Boba”. Il Nina Boba oggi, ancora perfettamente navigante, si trova a Cagliari ed è di proprietà di un Consigliere dell’AMA: Marco Murgia. La barca in oceano si comportò in modo eccellente dimostrando grandi doti di marinità e navigabilità lungo le 4650mgm percorse.
Nel 1969 però Dufour conscio di aver progettato una barca molto innovativa e visto il successo degli otto prototipi in legno di Mostes che continuava a ricevere ordinazioni oltre alle già realizzate, gli ritirò la licenza di costruzione e fece costruire le prime barche in vtr di serie dal Cantiere Stratifiè Industriel a La Rochelle. Solo in seguito diede al cantiere il suo nome e iniziò a realizzare gli Arpège dal 69 al 75 anno in cui dovette chiudere per fallimento. Dufour era molto bravo nelle progettazioni ma molto meno, e lo dimostrò, nella conduzione di un’azienda e nella finanza. In totale gli Arpège costruiti furono oltre 1500, mantenendo sempre lo stesso scafo, aumentando solo il pescaggio a mt. 1,65 per gli Arpège da regata negli anni 74-75. Il nome Arpège derivò da una combinazione con il profumiere Lanvin che produceva il notissimo profumo Arpège, ancor oggi in vendita nelle profumerie dopo oltre 40 anni. Ma l’innovazione dello scafo Arpège in che cosa consiste? La nuova formula della velocità critica di uno scafo fù così formulata v=2,35x(radice quadrata)di L dove L =lunghezza al galleggiamento. La lunghezza L dell’Arpège in banchina è di mt. 6,75 a livello dell’opera viva ma, con il baglio massimo di 3,03 e un’inclinazione di 30°-35°, cosa che in andatura di bolina è più che normale, diventa di oltre mt. 7,50 e quindi la sua velocità critica aumenta di parecchio, circa mezzo nodo. Se osserviamo le barche a vela costruite oggi, hanno quasi tutte la prua perpendicolare all’acqua e la poppa che si trascina sulla scia. In questo modo una barca, a qualsiasi andatura, ha una velocità critica notevole perchè sfrutta al massimo la L = lunghezza al galleggiamento. Era l’uovo di Colombo ma qualcuno doveva pur arrivarci e questo qualcuno parrebbe essere stato Michel Dufour con l’Arpège”.
Si sa che oggi gli scafi sono progettati come un guscio di noce per poter raggiungere velocità impensabili qualche tempo fà e planano con estrema facilità, però questo comporta anche problemi di navigabilità e di sicurezza. In sostanza grande velocità si ma marinità poca: ingavonamenti di prua, il battere sull’onda e acqua che entra in andatura di poppa fin dentro la dinette, pescaggi poibitivi. Michel Dufour aveva progettato un pescaggio di soli mt. 1,35 con sotto in chiglia un bulbo detto ” siluro” di ghisa di 1,2 ton. Questo siluro, come era stato malignamente denominato allora e criticato, lo si ritrova oggi, a distanza di 40 anni, dopo infinite ma infrottuose sperimentazioni per trovarne un’alternativa, anche sugli scafi di Coppa America come Alinghi, Luna Rossa, New Zealand, Oracle etc. Sulle caratteristiche velocistiche e sulla grande navigabilità dell’Arpège ci sono varie testimonianze. Le più accreditate sono quelle di Eric Tabarly che comparava le prestazioni dei suoi nuovi Pen Duick, confrontandoli in mare con il Blue Arpège di Jean Yves Terlain e ne parla nel suo libro ” De Pen Duick en Pen Duick” Arthaud editeur. Correva il 1969 e il Pen Duick V in alluminio di Tabarly, definito una barca spaziale, vinse la Transpacifique, in solitario. Al secondo posto assoluto arrivò l’Arpège di Terlain la più piccola barca in regata. In Bretagna a Lorient, patria di Tabarly, la comunità ha costruito un modernissimo Museo ” Citè de la voile” dove si possono ammirare, splendidamente restaurati ben quattro Pen Duick e ripercorrere la straordinaria, purtroppo breve, vita di questo eccezionale skipper. Si fa riferimento solo ai vari Pen Duick, naturalmente ma c’è anche un’altra, sola, barca presente ed esposta con vari modellini in scala: l’Arpège di Michel Dufour. Le scuole di vela più famose al mondo, quella di Caprera e quella dei Glenans, che hanno sfornato decine dei più grandi velisti, hanno usato negli anni ’70 come barche scuola gli Arpège. Uno degli istruttori è stato Fauconnier padre dei due fratelli titolari dei records di traversata Atlantica in solitario.