Perché un’auto o una moto possono diventare un oggetto storico di interesse culturale e invece una imbarcazione da diporto non può esserlo? Perché un’auto come una Fiat 500 o una Mini Minor viene iscritta a un registro che ne certifica, se ben conservata, la sua importanza nell’evoluzione del trasporto su strada e invece un Dufour Arpege o un Comet 910 sono invece considerate solo delle vecchie barche e non possono essere definite di “interesse storico”?
Perché gli armatori che amorevolmente conservano le loro amate barche in uno stato perfetto, stando attenti a non tradire nel restauro lo spirito originario del progetto, non devono vedere testimoniato e certificato il loro sforzo per mantenere intatti lo spirito e la bellezza di quell’oggetto?
La discrepanza tra il mondo dell’auto e quello delle barche è tutto in un piccola ma sostanziale differenza. Le auto hanno un registro nazionale unico, l’ASI, il quale rilascia un certificato che attesta la rilevanza storica del veicolo, mentre le barche non ce l’hanno ancora. Sembra impossibile, ma è così.
Nel mondo nautico italiano esistono solo piccole associazioni d’elite che radunano esclusivamente barche d’epoca (costruite entro il 1950) o classiche (entro il 1975) che, chissà perché, escludono tutte le barche costruite in vetroresina.
Ma un’auto o una motocicletta storica iscritta all’ASI non riceve solo l’attestazione della sua rilevanza storica e del suo corretto stato di conservazione, beneficia anche di vantaggi concreti come la riduzione del costo di polizze assicurative, o l’esenzione della tassa annuale sulla circolazione e può partecipare agli innumerevoli eventi che si svolgono in Italia e in Europa, riservati alle auto o moto storiche.
E allora, il Giornale della Vela pensa che sia arrivato il momento di cambiare, allinearsi al mondo dell’auto e delle moto, rompere piccoli interessi di bottega e unificare in un unico contenitore tutte le barche che possono essere considerate “storiche” indipendentemente dal materiale di costruzione, dalle dimensioni, dalla destinazione d’uso, con un semplice requisito, il limite fissato in 20 anni minimo di età.
Così il nostro giornale si fa promotore della costituzione di un Registro Storico delle Barche da Diporto (REBAD) che mutui nel mondo della nautica da diporto la stessa impostazione tracciata dal mondo dei veicoli, che ottiene da decenni successi e benefici. Con l’obiettivo anche nella nautica di calmierare costi di restauro e creare opportunità per una valorizzazione corretta dell’imbarcazione, che tenga conto del suo valore storico certificato.Il primo passo verso un registro unico deve riguardare la definizione di quella che è o non è un’imbarcazione storica.
Il Giornale della Vela ha realizzato la stesura di una Carta Fondativa per la Conservazione e il Restauro delle Imbarcazioni Storiche che ricalca quella del 2012 scritta dalla FIVA, il Registro mondiale delle auto storiche, che enuncia i principi generali per la definizione di un’imbarcazione storica e i criteri per una conservazione corretta, elastica e non miope, del bene.
Questa “carta fondativa” che definisce i criteri per la definizione e la certificazione di “barca storica” è il primo passo verso un’unica associazione che riunisca tutte le imbarcazioni storiche, a cui seguiranno a breve altri passi concreti. Se siete armatore di una delle decine di migliaia di barche, solo in Italia, con almeno vent’anni di vita, leggete con attenzione questa Carta. Potreste essere, magari senza saperlo, armatore di una prestigiosa barca storica.
Intanto abbiamo messo in piedi una segreteria che risponde sin d’ora ai vostri eventuali quesiti: rebad@giornaledellavela.com. Aspettiamo le vostre domande, chiarimenti, contributi.
Scarica qui la Carta Fondativa per la Conservazione e il Restauro delle Imbarcazioni Storiche